Il caffè è stato al centro di un’importante ricerca condotta dal Dipartimento Cibio dell’Università di Trento, in collaborazione con l’Università di Harvard e altri istituti internazionali. Lo studio, pubblicato su Nature Microbiology, ha rivelato una connessione diretta tra il consumo di caffè e la presenza del batterio Lawsonibacter asaccharolyticus nel microbioma intestinale.
Questo batterio risulta dalle sei alle otto volte più abbondante negli individui che consumano caffè regolarmente rispetto a chi non lo fa. Una scoperta che apre nuove prospettive nello studio delle interazioni tra alimenti e microbioma.
Il lavoro di ricerca ha analizzato i dati di oltre 22.000 soggetti provenienti da 25 Paesi, evidenziando una correlazione significativa tra il consumo di caffè e l’abbondanza del Lawsonibacter asaccharolyticus. In laboratorio, gli scienziati hanno coltivato questo batterio, dimostrando che il suo sviluppo è accelerato quando al terreno di coltura viene aggiunto caffè. Inoltre, è stato osservato che quantità maggiori di caffè consumate portano a una presenza ancora più elevata del batterio nell’intestino.
Curiosamente, la presenza di questo batterio varia in base alle abitudini culturali: è più comune in Paesi europei come Lussemburgo, Danimarca e Svezia, dove il consumo di caffè è elevato, mentre è quasi assente in nazioni come Cina, Argentina e India.
Questo batterio non sembra avere un impatto diretto rilevante sulla salute, ma la scoperta offre un metodo innovativo per studiare gli effetti dei singoli alimenti sul microbioma. Secondo il professor Nicola Segata, responsabile del laboratorio di metagenomica computazionale presso il Dipartimento Cibio, “il vero punto è capire come cibi specifici possano stimolare la crescita di batteri benefici per la salute”.