Siamo nella terza settimana di emergenza da COVID-19 (Coronavirus) e i cambiamenti che si sono verificati nel nostro Paese sono stati tanto repentini quanto la stessa evoluzione del virus.
Altrettanto rapido l’impatto che la situazione ha avuto sul nostro Settore, che vive ancora una volta una condizione di disagio operativo e finanziario.
Facciamo il punto ad oggi nell’intervista col direttore di CONFIDA, Michele ADT.
Ci racconta come è evoluto l’impatto dell’emergenza Coronavirus sul Vending?
Immediatamente dopo lo scoppio dell’emergenza Coronavirus, prima a Codogno e poi in altre aree della Lombardia, c’è stato il susseguirsi di tutta una serie di ordinanze regionali e di decreti ministeriali, che hanno pian piano assunto un ritmo sostenuto, potremmo dire uno ogni due giorni.
Le limitazioni e i divieti hanno stretto sempre di più le maglie delle attività in tutti gli ambiti della vita e, di conseguenza, in tutti gli ambiti in cui ci sono distributori automatici. Si è cominciato con le scuole, prima solo in alcune regioni e poi in tutta Italia, le università, poi le palestre, i luoghi di aggregazione e così via. Semplificando le normative e riducendole ad un modulo online, si è poi spinto all’adozione dello smart working prima nel settore privato e poi, attraverso una circolare che lo ha posto come modalità di lavoro quasi obbligatoria in questa particolare circostanza, anche nella Pubblica Amministrazione. Si tratta di luoghi in cui il Vending sviluppa il suo business e il suo fatturato, in maggiore o minore percentuale: 11% nel mondo della scuola, 3% in quello dell’intrattenimento, 14% nel mondo del lavoro privato inteso come uffici direzionali e 34% in quello dell’industria, per finire con l’8% rappresentato dal settore pubblico.
Di conseguenza, chiudendo gli uffici, le scuole ecc. ci sono meno persone anche nel settore dei trasporti, che si va ad aggiungere agli altri, portando alla conclusione che nell’arco di pochissimi giorni in tutti i luoghi in cui sono presenti i distributori automatici è calato sensibilmente il numero delle persone e quindi delle battute e degli incassi.
Il Decreto del 9 marzo che fa dell’Italia un’unica area protetta ha esteso le limitazioni ed i disagi delle aree cosiddette rosse a tutto il Paese, colpendo di conseguenza l’intera filiera della Distribuzione Automatica italiana.
Non è solo il Vending a subire le conseguenze delle chiusure e dei divieti imposti dall’emergenza. Cosa lo differenzia?
La differenza sta nel fatto che nel Vending non si vede nel senso che, mentre passando davanti a bar, ristoranti, pub si vede che sono vuoti, nel caso del distributore automatico, se non hai una comunicazione dei dati dedicata, non si sa se vende o non vende. L’occhio del passante, diciamo così, non se ne accorge.
Per questo motivo, già dopo pochi giorni dall’inizio dell’emergenza, abbiamo comunicato un dato di perdita del Settore che in quel momento era stimato su 16 milioni di euro a settimana e che è subito risultato non adeguato, perché riferito solo alle zone rosse e alle zone gialle. Nel momento in cui, a distanza di poche ore, i divieti sono stati estesi a tutta Italia, siamo davanti ad un’incognita. Solo alla fine potremo tirare le somme.
Le società di gestione ne pagano le conseguenze…
Certamente, perché vengono meno i ricavi, ma restano invariati i costi: quello del personale che in parte resta inattivo, i costi finanziari relativi ad acquisti per capannoni, veicoli, macchinari, le cui rate vanno pagate a prescindere, e poi tutte le altre spese che ha un’impresa, compreso i canoni delle concessioni che vanno rispettati anche se le postazioni sono ferme e quindi non portano ricavi. Per non parlare del materiale alimentare che è all’interno dei distributori che va ritirato e per lo più gettato perché non utilizzabile in altre macchine.
Ci troviamo di fronte ad una situazione per la quale i guadagni si riducono ed i costi restano ed il tutto ricade sulle società di gestione.
Cosa vi raccontano i gestori?
Intanto che arrivano richieste da parte dei clienti di spegnere i distributori perché li considerano un luogo di aggregazione e li equiparano a quelli elencati nelle disposizioni ministeriali. Non è facile far capire che non è così, che basta far rispettare le distanze tra gli utenti e magari usare qualche attenzione in più nel prendere le consumazioni. C’è stata quindi un’interpretazione estensiva e non corretta del concetto di luogo di aggregazione. Anzi, bisognerebbe far capire che in questo momento il distributore automatico è l’unico strumento in grado di preparare un caffè o una bevanda in monouso, con prodotti chiusi all’interno di una macchina a cui nessuno ha accesso tranne l’operatore e che quest’ultimo applica tutte le norme igieniche previste non solo dalle normative legate all’emergenza Coronavirus, ma dettate da sempre dalle corrette prassi igieniche previste per il settore attraverso l’HACCP. Non è un caso che molti bar e caffetterie, come Starbucks, sono tornati al monouso.
Altri episodi anomali?
Ce ne sono tanti: ARD che devono firmare un’autodichiarazione in cui garantiscono di non aver avuto contatti con persone contagiate o di non essere stati nelle zone a rischio o ai quali viene impedito l’ingresso perché l’azienda ha deciso di non far entrare nessuno dall’esterno. In questo caso, però, significa lasciare al suo destino il distributore che, nel migliore dei casi, termina le scorte. Ma in caso di guasto, anche solo del blocco di un bicchierino, non può essere rimesso in funzione.
Noi abbiamo lavorato molto con ConfCommercio in queste settimane per evidenziare queste cose ed avanzare delle proposte che sono entrate in un documento complessivo di ConfCommercio presentato al ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli, affinché ne tenesse conto nello stilare il Decreto a sostegno delle imprese.
Che tipo di informazione avete usato con i gestori?
Abbiamo cercato di mandare alle gestioni informazioni ufficiali: decreti, ordinanze, indicazioni delle ASL e quant’altro per rispondere alle tante domande che ci sono state poste in queste settimane. Per alcuni quesiti è bene che i gestori si attengano alle indicazioni del medico interno che avrà ricevuto dall’ASL di competenza tutte le informazioni necessarie.
In generale, c’è molta preoccupazione soprattutto se all’interno di un’azienda del Vending si dovesse verificare un caso di contagio, a causa del quale le autorità dovessero disporre la chiusura. Per evitare che ciò accada, i gestori hanno tempestivamente dotato il personale di dispositivi di sicurezza come mascherine e guanti, ridotto al minimo i contatti tra i collaboratori dei vari comparti.
Come si è mossa CONFIDA?
Prima di tutto facendo l’appello del 4 marzo che tutti conoscono, dove denunciamo perdite per 16 milioni di euro a settimana, affinché l’opinione pubblica e le istituzioni venissero a conoscenza dell’attuale situazione di sofferenza del Settore. Poi abbiamo coinvolto ConfCommercio facendo tutta una serie di richieste anche sul versante sindacale, quindi di poter accedere ad ammortizzatori sociali come una cassa integrazione in deroga, che sia facilmente accessibile anche alle imprese più piccole, con meno di 15 dipendenti, che si prevedano agevolazioni fiscali, finanziamenti anche per il nostro Settore.
Da direttore di CONFIDA cosa si sente di consigliare?
Dal punto di vista sanitario di seguire le indicazioni che mettono a disposizione ASL, Regioni e Ministero per quanto riguarda la prevenzione e mettere in atto tutto quello che è necessario per evitare eventuali contagi all’interno delle imprese di gestione. Ma questo mi sembra un comportamento che rientra nelle logiche e che i nostri gestori hanno responsabilmente assunto sin da subito.
Dal punto di vista dell’attività, di avere fiducia nel lavoro intenso che stiamo facendo con ConfCommercio, attraverso un confronto continuo con la task force dedicata al Coronavirus su tutti i temi di interesse: legislativo, fiscale e così via. Noi abbiamo riportato a ConfCommercio tutte le richieste ricevute dai gestori, che sono diventate parte di un documento unico, che è stato portato al Governo, affinché ne tenga conto nell’emanare il Decreto a salvaguardia delle imprese e, passata l’emergenza, si possa ripartire.