Sembra che la fine dell’emergenza pandemica non significhi necessariamente la fine dello smart working. Sono molte, infatti, le persone che vorrebbero continuare a lavorare da remoto, avendone apprezzato i vantaggi, tanto che neanche le soluzioni ibride e la flessibilità largamente proposte sembra convincerle.
Si stima che 1 lavoratore americano su 4 continuerà a lavorare da remoto fino alla fine del 2021, con un totale del 22% della forza lavoro che diventerà completamente remoto entro il 2025. Questo perché hanno riscontrato alcuni vantaggi, come un risparmio medio di 40 minuti al giorno per gli spostamenti e un risparmio medio sui costi di 500 dollari al mese.
Sicché i dipendenti del New York Times hanno firmato una lettera nella quale dichiarano che continueranno a lavorare da remoto finché lo vorranno, contravvenendo alla richiesta dell’editore di tornare in presenza per 3 giorni alla settimana.
L’incentivo di una box lunch gratuita, offerta dalla proprietà, piuttosto che convincerli, avrebbe offeso giornalisti, fotografi e dipendenti, che si sono sentiti “comprare” con un tramezzino.
Nella lettera sono stati evidenziati i vantaggi economici del lavoro da remoto (risparmio sui trasporti, sugli abiti ecc.) che, a detta dei lavoratori del New York Times, compenserebbero anche se in minima parte, i mancati aumenti salariali che chiedono da tempo e il caro vita dovuto alla galoppante inflazione.
L’esempio del giornale americano, vincitore di 101 premi Pulitzer, è stato seguito dai colleghi del Wall Street Journal, anch’essi richiesti in presenza dall’editore. Anche qui un rifiuto: il giornale avrebbe moltiplicato i profitti proprio negli anni della pandemia, quando si lavorava da remoto, una crescita del fatturato che non ha comportato un aumento dei salari per gli smart worker che, proprio da casa, hanno raggiunto tutti gli obiettivi, contribuendo fattivamente ai risultati positivi.
Si sta sviluppando – almeno negli USA – un trend in qualche modo pericoloso per l’economia: che senso ha per un titolare d’impresa pagare per affitti di mega uffici vuoti, mense interne, aree ristoro, sale relax, se i lavoratori sono tutti a casa? Potrebbero optare per un piccolo ufficio, un punto di riferimento, sciogliendo contratti con società di catering, gestori di distributori automatici, imprese di pulizia e così via.
Probabilmente, gli editori avrebbero dovuto puntare su fattori diversi per incentivare il ritorno in presenza: una migliore collaborazione e comunicazione tra colleghi; una più netta separazione tra vita privata e vita lavorativa; una maggiore concentrazione rispetto al lavoro da casa, in cui si è sottoposti a mille distrazioni dovute al tran-tran quotidiano; il ritorno ai rapporti sociali, uscendo dall’isolamento della casa, fosse anche solo nel ritrovarsi intorno alla macchinetta del caffè, e così via.
Tutte motivazioni che, magari associate ad un aumento salariale sostenibile, spingerebbero i team a tornare in ufficio per collaborare, apprendere nuove competenze, svilupparsi come leader e creare legami interaziendali più forti con i propri colleghi.
Ma non è solo questo: ritornare in presenza significa anche contribuire alla ripresa dell’economia, soprattutto nel settore della ristorazione e del Vending, fortemente penalizzati dallo smart working.