09-01-2018 – È la storia di Andrea, disabile visivo che vive a Cagliari e tutti i giorni si confronta con i distributori automatici dell’azienda in cui lavora nel tentativo di prendere un caffè o uno snack, magari riuscendo a selezionare proprio quelli desiderati. Per chi come Andrea vive una condizione di disabilità, anche un semplice gesto che appartiene alla nostra quotidianità può trasformarsi in un’impresa, come ironicamente racconta lui stesso nell’articolo di Stefania Leone “Per prendere un caffè…attendiamo progettisti illuminati”.
L’articolo, pubblicato su www.superando.it e già apparso sulle audio riviste dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), viene qui riportato per gentile concessione.
“Anche prendere un caffè in azienda – dice Andrea – per chi come me è disabile visivo, può diventare molto complicato; in azienda abbiamo un “locale svago”, dove ci sono due distributori automatici per bevande, snack, soft drink e succhi di frutta vari. Premetto che uno dei due è completamente inaccessibile e non usabile per me, perché per scegliere un prodotto, dovrei digitare su una tastiera il numero del prodotto stesso che è ben scritto sotto il tunnel con tutti i prodotti, e allora mi concentro su quell’altro, che eroga caffè, thè o bevanda gusto cioccolato. Prima cosa geniale: per inserire le monete non c’è la feritoia, ma una slitta dove si poggiano i soldi e poi con un colpo secco verso l’alto si fanno cadere nell’apposita cassettiera. Ovviamente la prima volta ho avuto un rapporto quasi carnale con la macchina e se non avessi avuto l’aiuto di un collega vedente, non avrei capito nulla. Ma veniamo al passaggio successivo, scegliere la bevanda. I tasti sono posti in modo verticale sulla destra della macchina, sono tutti uguali e – se pigiati – fanno tutti lo stesso beep; all’inizio contavo da su a giù, il mio tasto era il quarto dall’alto, un discreto caffè macchiato dolce, ma non ti dico gli errori, erano più le volte che prendevo il thè (tasto sotto) o il caffè espresso (tasto sopra). E tra l’altro nemmeno selezionare lo zucchero è una passeggiata! La macchina “intelligente” in automatico te ne offre tre tacche, e se vuoi modificare devi premere un certo pulsante, ma – neppure a dirlo – un tasto uguale a tutti gli altri, sempre con il solito beep di ordinanza. La selezione procede solo in avanti e quando arriva a cinque riparte da zero, e allora devi calcare il primo tasto in alto della verticale sempre con il solito beep per ben quattro volte se vuoi solo una tacca di zucchero! Insomma, per non complicarmi troppo la vita, lascio sempre la quantità di zucchero predisposta e per evitare sbagli ho messo un pezzettino di nastro adesivo a fianco del bottone, per selezionare il caffè macchiato dolce. Inutile dire che sono condannato per tutta la mia vita lavorativa a bere sempre caffè macchiato dolce, a patto che qualcuno non tolga il mio segnalino…”.
“Immaginavo – racconta ancora Andrea – una tecnologia che più va avanti e più cerca di ridurre i gap. Una tecnologia che abbatte le barriere e non le crea; immaginavo progettisti illuminati che con un approccio figlio del cosiddetto Design for All [“progettazione per tutti”, N.d.R.] avrebbero con gioia progettato prodotti utilizzabili in modo semplice da tutti, e invece qualche tempo fa mi sono dovuto ricredere! Ero infatti nel locale ristoro per il caffè di mezza mattina, arriva il tecnico delle macchinette ed io, con il mio migliore sorriso, gli chiedo a chi mi devo rivolgere per cambiare il distributore del caffè. Lui mi chiede cosa non va, gli spiego le mie difficoltà e lui sempre sorridendo mi risponde: “Lei continui ad usare questo, i nuovi modelli hanno il display touch…”.
“Ma esistono o no – conclude Andrea – distributori di caffè automatici accessibili per chi ha una disabilità visiva? Ovvero con una sintesi vocale o con qualche segnalazione tattile? È poi così complicato?”.
No, gli ho risposto, non è complicato. Ricordo ad esempio di avere trovato un distributore di caffè con targhette in Braille, ma era in un Istituto per Ciechi oltre vent’anni fa… Chissà se è ancora lì!
Bisognerebbe perciò che il principio dell’Universal Design fosse insegnato nelle grandi Scuole di Design, oltreché nelle Facoltà di Ingegneria, Informatica e Architettura, per una tecnologia che, evolvendosi, riducesse le discriminazioni, una tecnologia che abbattesse le barriere e non ne creasse di nuove, come sottolineato da Andrea. E invece – come per tanti altri piccoli ausili ed elettrodomestici -, aspettiamo ancora un progettista illuminato che “fiuti” l’affare e che costruisca degli oggetti vocalizzati, adatti a chi ha problemi di vista, potendoci anche guadagnare molto bene!
di Stefania Leone