08-04-2014 – Finalmente ieri sera è andata in onda la tanto attesa puntata di Report sull’espresso italiano. Tanto attesa e tanto discussa, visto che le sole anteprime dei giorni scorsi hanno scatenato un vero putiferio, provocando la reazione di torrefattori, associazioni e baristi, soprattutto napoletani.
La prima cosa da sottolineare è che se il caffè al bar non è di qualità non è solo colpa dei baristi napoletani! L’inchiesta, condotta da Bernardo Iovene in molte città italiane, ha infatti evidenziato che il problema è diffuso un po’ ovunque.
In questo caso, però, il detto “mal comune, mezzo gaudio” non può essere consolatorio e deve far riflettere sulle criticità emerse dall’inchiesta di Report.
Quella del “barista” è una professione, è l’arte di fare l’espresso, una tradizioni di cui gli italiani sono depositari e testimoni nel mondo. E come ogni arte, anche quella dell’espresso ha le sue regole, quelle regole che, stando al campione esaminato, sembrano essere completamente ignorate dalla maggior parte di coloro che svolgono questa professione.
Tutte le criticità emerse, dal blend utilizzato alle modalità d’uso delle macchine, convergono in unico punto: la scarsa qualità del prodotto e della preparazione degli addetti al servizio.
Non conoscere le differenze tra robusta e arabica, non sapere che la macchina va “spurgata” ad ogni caffè, affermare addirittura che quest’operazione non va fatta perché così “il caffè è più buono” lascia riflettere.
A chiusura del servizio di Report si è appena accennato al mondo delle capsule, del quale sono stati toccati solo i punti relativi alla sostenibilità e all’impatto sulla salute delle capsule di alluminio e plastica.
Non sarebbe male approfondire questo segmento. Il caffè espresso erogato dalla maggior parte delle macchinette a cialde/capsule è molto simile a quello del bar e di questo bisogna ringraziare la tecnologia e la professionalità dei nostri costruttori di macchine. Ma il caffè contenuto nelle capsule è un caffè di qualità? Escludendo i brand che lo dichiarano in maniera evidente e offrono una gamma completa di capsule che dal dichiaratamente robusta arriva alla pura arabica e, in alcuni casi, ai pregiati caffè monorigine, per il resto il mercato è invaso da cloni e cialde di discutibile qualità offerti a pochi centesimi di euro.
Occorre spingere sul concetto di qualità, quella qualità su cui una parte del vending sta puntando negli ultimi anni per acquisire, attraverso un’offerta diversificata e completa, una posizione leader nel consumo out of home. E il caffè, che rappresenta in Italia il prodotto principe della distribuzione automatica – in grani o in capsule poco importa – non può essere da meno.
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