23-03-2017 – Il quesito – e soprattutto la necessità di sottoporre a controlli sanitari mirati le partite di caffè provenienti dal Brasile – è stato posto all’Unione Europea dall’eurodeputato Piernicola Pedicini a dicembre scorso.
La Commissione ha accolto la richiesta di verificare se il caffè brasiliano contenga residui di pesticidi banditi dalla Unione o che superino i limiti massimi stabiliti dalle normative vigenti e, dopo valutazione, ha così risposto:
“Il caffè in grani non è compreso nel programma di controllo pluriennale (Pncp) previsto dall’Ue per i prodotti alimentari importati e che non dispone di informazioni su eventuali problemi da essi riscontrati in relazione alle citate sostanze. Spetta agli Stati membri decidere circa la scelta dei prodotti alimentari e dei pesticidi da sottoporre ad analisi nell’ambito dei rispettivi programmi di controllo nazionali (Pn) e, di conseguenza, decidere se controllare il caffè in grani per accertare la presenza dei pesticidi glifosato o di terbufos.”
Scaricata la responsabilità ad ognuno dei Paesi membri, Pedicini ha evidenziato che “Dalle statistiche sulle importazioni si rileva che il primo fornitore di caffè all’Italia è da sempre il Brasile, e Trieste è tra i porti principali d’ingresso del caffè commercializzato in Europa. Una volta superato il controllo sanitario ministeriale alla frontiera, il caffè viene autorizzato per la vendita anche negli altri Paesi europei. Tuttavia, le analisi condotte dall’Agenzia dell’Ambiente del Friuli, per conto del Ministero della Salute, non indagano la presenza di alcuni pericolosi fitosanitari ampiamente utilizzati nelle coltivazioni brasiliane del caffè ma vietati nell’Unione europea”.
Bisognerà, dunque, appellarsi alle agenzie locali preposte ai controlli per tutelare la salute dei consumatori.