07-06-2018 – Lo ha deciso la Corte di Cassazione di Bologna nel giudicare il caso di una donna che aveva scritto un post su Facebook lamentandosi del modo in cui veniva gestito il suo carico di lavoro dall’azienda in cui era occupata.
Una leggerezza che le è costata il licenziamento da parte del titolare al quale il post non era sfuggito.
La donna aveva impugnato il provvedimento e fatto ricorso, intentando una causa che è durata alcuni anni. Nel 2014 il Tribunale di Forlì dà ancora una volta ragione al titolare dell’azienda, il che spinge l’ex impiegata a ricorrere alla Cassazione, ma inutilmente: i giudici della Suprema Corte hanno validato il licenziamento ritenendo la frase postata su Facebook diffamatoria nei confronti dell’azienda e il licenziamento valido per giusta causa.
Nell’emettere la sentenza i giudici della Corte di Cassazione di Bologna hanno precisato che “La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. Scrivere un post sul social realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso per l’idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone con la conseguenza che, come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili“.