Mentre un Paese come il Canada si avvia verso la depenalizzazione delle droghe pesanti, l’Italia fa un passo indietro e dichiara illegale la cannabis light, equiparandola alle altre droghe. Gli attori della filiera – dai coltivatori di marijuana ai distributori, dai negozi specializzati ai gestori di distributori automatici – vedono andare in fumo quello che un business che stava crescendo a doppia cifra. Tant’è vero che l’impennata dei consumi di cannabis light, registrata durante la pandemia e i vari lockdown, aveva spinto i venditori ad organizzarsi in maniera più strutturata, attraverso servizi di delivery e l’incremento del numero di vending machine, indispensabili nei mesi in cui i negozi non essenziali sono stati chiusi, ma anche come punto vendita discreto per i consumatori.
È accaduto, invece, che la Conferenza Stato-Regioni del 13 gennaio scorso, insieme al Ministero dell’Agricoltura, abbia stabilito che la coltivazione delle piante di cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale vada assimilata al Testo Unico sugli stupefacenti a prescindere che vi siano o meno sostanze psicoattive al di sopra dei limiti della legge. Di conseguenza, tutti i coltivatori e i rivenditori di infiorescenze di cannabis light diventeranno passibili delle sanzioni derivanti dall’apparato penale del DPR 309/90 che ne vieta la coltivazione senza un’autorizzazione da parte del Ministero della Salute.
I ministeri coinvolti non hanno tenuto in conto la lettera a loro inviata dall’associazione Federcanapa in cui si sottolineava come il “contenuto del provvedimento fosse ingiustificatamente restrittivo per lo sviluppo del comparto della canapa industriale… (esso) sancirebbe un’ingiustificata ed anacronistica limitazione per gli agricoltori italiani che si vedrebbero costretti a rinunciare alla possibilità di destinare le produzioni di foglie e infiorescenza da varietà a basso THC alla produzione di aromi, sostanze attive non psicotrope, semilavorati per la cosmesi, rinunciando alla parte di pianta in cui risiedono le principali proprietà officinali.”
Con 3.000 imprese e 10.000 posti di lavoro a rischio, per gli attori del comparto la decisione presa dalle istituzioni è inaccettabile. Pertanto, promosso anche da Riccardo Magi, presidente di +Europa, è stata lanciata una raccolta di firme per il referendum sulla Cannabis che ha trovato adesione da parte di oltre un milione e mezzo di persone.
Il 15 febbraio si deciderà la data della consultazione popolare che potrebbe “salvare” il comparto.