La metà del peso del caffè è costituita dalla polpa che resta nei siti di lavorazione come prodotto di scarto. Eppure, essa potrebbe essere utilizzata per rigenerare i terreni, liberandoli in modo naturale dalle erbe infestanti, un compito svolto normalmente dagli erbicidi chimici.
Lo ha dimostrato uno studio dell’Università delle Hawaii, condotto da un gruppo di ricercatori su un appezzamento di terreno deteriorato dall’invasione di erbe non autoctone, che avevano bruciato i nutrienti presenti nel terreno, rendendolo arido.
Lo studio, iniziato nel 2018, ha dato i suoi risultati dopo due anni. Nel 2018, infatti, i ricercatori del Dipartimento di risorse naturali e gestione ambientale del College of Tropical Agriculture and Human Resources, insieme a quelli della School of Life Sciences e dell’università delle Hawaii, hanno lavorato su un appezzamento di terreno, dividendolo in due aree. Su una parte avevano scaricato la polpa di caffè di 35 camion, formando uno strato spesso mezzo metro; l’altra area è stata lasciata come era. Poi hanno osservato cosa succedeva in entrambi gli appezzamenti nei due anni successivi.
I risultati sono stati sorprendenti: l’area trattata con uno spesso strato di polpa di caffè, in soli due anni, si è trasformata in una piccola foresta, mentre l’appezzamento di controllo è rimasto dominato da erbe da pascolo non autoctone. Questo perché la polpa di caffè è ricco di carboidrati e proteine grezze e, una volta lavorato, forma un prezioso compost, che nel caso delle Hawaii ha aumentato i nutrienti del suolo sui terreni degradati.
Sembrerebbe però che il sistema che ha dato risultati eccezionali in questa parte del mondo non funzioni allo stesso modo su altri tipi di terreno: anzi in alcune aree potrebbe avere l’effetto contrario, stimolando la crescita di erbe non autoctone e quindi infestanti.