La chiusura della SAICAF di Bari, storica torrefazione pugliese attiva dal 1932, era stata annunciata già lo scorso agosto, quando era iniziato il trasferimento degli uffici e degli impiegati amministrativi in nuovi locali siti in centro città.
Contemporaneamente, l’azienda aveva comunicato di essere in trattative per la cessione dei terreni di via Amendola, dove sorge lo storico stabilimento, segno della volontà di dismettere la produzione.
La notizia aveva immediatamente messo in allarme le rappresentanze sindacali che, nei primi giorni di settembre, chiedendo spiegazioni circa il futuro dei dipendenti, avevano sollecitato un incontro con la proprietà, fissato per il 30 settembre. Il prolungarsi dei tempi aveva portato i rappresentanti sindacali di Flai e Uila a proclamare lo stato di agitazione fino a quando l’azienda non avesse dato le opportune spiegazioni. Cosa che era avvenuta più tardi attraverso una dichiarazione del presidente del CDA di Saicaf Antonio Lorusso, il quale aveva così giustificato le operazioni avviate dall’azienda: nell’ottica di potenziare la propria presenza nei mercati internazionali, Saicaf ha ritenuto opportuno procedere ad una riorganizzazione aziendale che comprende sia il trasferimento degli uffici nei nuovi locali, che la vendita dei terreni. Una riorganizzazione che avrebbe inciso anche sulla forza lavorativa, composta da una quarantina di addetti, numero che sarebbe stato rivalutatp.
La rivalutazione si è tradotta nel licenziamento collettivo per 13 dipendenti, notizia giunta alla metà di dicembre nella sede delle organizzazioni sindacali, che avevano chiesto la cassa integrazione per gli esuberi e un incontro al Ministero del Lavoro che si è tenuto il 13 gennaio di quest’anno.
Amaro il commento dei segretari provinciali Flai Cgil e Uila Uil, Anna Lepore e Pietro Buongiorno: “A noi purtroppo rimane l’amara constatazione che le nostre preoccupazioni erano fondate con la dismissione del ramo industriale dedicato alla produzione del caffè e la conseguente chiusura del sito produttivo di via Amendola. La decisione della proprietà di proseguire solo con l’attività commerciale, di fatto, porta i 13 lavoratori a rimanere a casa”.
Fortunatamente, l’incontro tenutosi al MISE il 13 gennaio si è concluso positivamente per i 13 esuberi: ai dipendenti è stata concessa la cassa integrazione straordinaria per 12 mesi (fino al 31 dicembre 2020), il che ha evitato il licenziamento immediato ed aperto le speranze di un reintegro se le condizioni dovessero nel frattempo cambiare.