[df-subtitle]La Cassazione condanna il titolare di un bar[/df-subtitle]
03-05-2018 – Mentre si discute sulla validità degli Studi di Settore e sulla legittimità del metodo induttivo applicato nel corso delle verifiche fiscali, soprattutto per alcune specifiche attività, una sentenza della Corte di Cassazione del 27 aprile scorso, sancisce la validità di tale metodo nel calcolo dei ricavi dichiarati dal titolare di un bar.
Il calcolo eseguito dai controllori prendeva in considerazione le vendite di caffè e di prodotti contenenti caffè (cappuccino, caffellatte ecc.) dichiarate dall’esercente, ricalcolandone il numero in base all’assunto che per fare un caffè occorrono 8 grammi di prodotto. Per tutti gli altri prodotti venduti dall’esercente veniva calcolato un ricarico del 100%. I risultati del metodo induttivo, diversi da quanto dichiarato dal contribuente, hanno comportato una sanzione per le vendite che, a parere degli ufficiali, non erano state dichiarate.
Il contribuente aveva allora presentato ricorso ed ottenuta ragione da parte dei giudici del secondo appello, i quali avevano considerato errati i calcoli degli accertatori e discutibile il metodo adottato. L’Agenzia delle Entrate era, quindi, ricorsa in Cassazione, ottenendo accoglimento da parte dei giudici. Secondo questi ultimi, la ricostruzione del reddito in base alla modalità induttiva (art. 39, comma 2 lett. d del Dpr 600/1973) è legittima, quando gli elementi indiziari gravi precisi e concordanti, la confermano. La norma, infatti, prescrive che l’Ufficio procede alla rettifica quando le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse. Spetta allora al contribuente dimostrare con documentazione l’inesattezza del calcolo, cosa che l’esercente non aveva fatto.
Per tali ragioni, la Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e depositato l’ordinanza.