L’analisi dei campioni di 11 diversi marchi di caffè è stato affidata a tre diversi laboratori indipendenti e accreditati, ognuno dei quali ha approfondito un particolare aspetto della ricerca.
Al primo laboratorio è stato chiesto di verificare l’eventuale presenza di oftalati, bisfenolo e, nel caso della capsula di alluminio, di metalli pesanti nel contenuto. I risultati hanno sorprendentemente dimostrato che in tutti e undici campioni vi era nemmeno una traccia di questi contaminanti.
Al secondo laboratorio è stato chiesto di verificare se nel caffè vi fossero residui di contaminanti derivati dalla materia prima, come pesticidi, furani, acrilammide e micotossine.
I risultati hanno dimostrato che nel caffè dei marchi analizzati non vi è traccia di pesticidi. Per quanto riguarda l’acrilammide, una sostanza tossica probabilmente cancerogena che si sviluppa dalla cottura dei chicchi di caffè, si è verificato che il suo contenuto è pari alla metà del limite massimo consigliato dall’EFA. Stessa cosa per il furano, anch’esso derivato dal trattamento termico della torrefazione, presente in quantitativi molto bassi.
Va detto, però, che questi risultati positivi sono il frutto dell’impegno delle aziende del comparto, in particolare dei torrefattori, che negli ultimi anni hanno lavorato per migliorare sensibilmente la qualità della loro produzione.
Infine, ad un terzo laboratorio accreditato è stata affidata la prova organolettica del caffè, il cosiddetto assaggio, che ha messo in rilievo pregi e difetti di ogni tazzina, con un risultato generale medio alto.
Lo studio de Il Salvagente affronta anche altri aspetti del mondo del caffè, come l’impatto ambientale dovuto alla non compostabilità delle capsule e alla difficoltà di smaltirle in maniera pratica e corretta o ancora le condizioni di vita dei coltivatori nei Paesi produttori. Uno studio ampio e interessante, in edicola nel numero di maggio della rivista.